Diritto del Lavoro

CONCILIAZIONI LAVORO

Con il Jobs Act passano a tre le procedure di conciliazione previste in caso di licenziamento: la
conciliazione facoltativa, la conciliazione preventiva in caso di licenziamento per giustificato motivo
oggettivo e la conciliazione a “tutele crescenti”. Il moltiplicarsi di questi tentativi conciliativi disorienta le aziende che non sanno quale applicare in
relazione al motivo della vertenza in atto tra le parti. La scelta sulla procedura più idonea, non
riguarda esclusivamente una volontà delle parti, ma, in alcuni casi, anche un obbligo, in quanto la mancata attuazione della giusta procedura può avere riflessi anche sulla efficacia dell’atto emesso
dal datore di lavoro.

Conciliazione facoltativa

La procedura è ammessa per la risoluzione di tutte le controversie individuali di lavoro e
cioè, avente ad oggetto il singolo rapporto di lavoro. Come fine si pone la tutela di un interesse
prettamente individuale, tanto che la pronuncia ha effetto limitatamente ai titolari del rapporto
dedotto in giudizio.

Il tentativo è su base volontaria e le parti hanno il potere, e non il dovere, di rivolgersi a questa
procedura conciliativa, potendo, per converso, appellarsi direttamente al tribunale per vedere
risolta la problematica lavorativa.

Conciliazione preventiva in caso di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo
La Riforma del mercato del lavoro del 2012 (legge n. 92/2012 – art. 1 commi 40 e 41), tra le altre
cose, ha modificato l’articolo 7 della Legge n. 604/1966, introducendo un previo tentativo di
conciliazione in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

I datori di lavoro, con i requisiti dimensionali previsti dall’articolo 18, in caso di licenziamento per
giustificato motivo oggettivo, ovvero di licenziamento per motivi economici, dovranno espletare una
previa procedura di conciliazione obbligatoria dinanzi alla Commissione provinciale di
conciliazione presso la Direzione Territoriale del Lavoro.

Tale procedura costituisce condizione di procedibilità ai fini dell’intimazione del licenziamento ed in
caso di violazione della procedura in questione, il licenziamento è inefficace.

  • Conciliazione facoltativa a “tutele crescenti”:
    Questa procedura, a differenza delle precedenti, può essere percorsa esclusivamente avverso
    quei rapporti di lavoro a tempo indeterminato stipulati in virtù delle tutele crescenti stabilite
    con il decreto legislativo n. 23/2015.
  • lavoratori assunti a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015;
  • lavoratori trasformati da un rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato dal 7
    marzo 2015;
  • lavoratori qualificati da un rapporto di apprendistato 7 marzo 2015.

Qualora il datore abbia proceduto ad un licenziamento (qualunque esso sia: per giusta causa, per
giustificato motivo oggettivo o soggettivo) nei confronti di un lavoratore assunto a tutele crescenti,
al solo fine di evitare l’alea del giudizio, può offrire al lavoratore, in una delle sedi previste dal
legislatore ed entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento (60 giorni), un
importo pari a 1 mensilità, dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di
fine rapporto, per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 2 e non superiore a
18 mensilità.

L’importo:

  • non costituisce reddito imponibile ai fini fiscali;
  • non è assoggettato a contribuzione previdenziale;

    L’accettazione dell’assegno da parte del lavoratore comporta:
  • l’estinzione del rapporto (alla data del licenziamento);
  • la rinuncia alla impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta;
  • Il diritto all’ASpI qualora ci siano tutti gli elementi prescritti.
  • L’importo, qualora si raggiunga un accordo, dovrà essere erogato tramite assegno circolare.
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